EF Magazine

S.O.S. cambiamento climatico

Missione efficientamento
23 Maggio 2018
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3 min. di lettura

Se l’accordo di Parigi sul clima del 2015 sarà ricordato come una gigantesca occasione gettata alle ortiche, o come uno spettacolare salvataggio del pianeta, appena prima della catastrofe, lo scopriranno i nostri nipoti, aprendo i loro libri di storia. A noi, che di quell’accordo siamo stati contemporanei e spettatori, resta il fiato sospeso e la speranza che l’impegno dei grandi della terra possa effettivamente tradursi in azioni concrete ed efficaci, ma soprattutto veloci.

Serve certo ai livelli più alti una solida volontà, magari a favore di camera, con le sue cerimonie e i suoi toni altisonanti. Ma serve anche un impegno ai livelli di Governance più vicini alle nostre vite quotidiane: governi, enti locali e soprattutto città. Nei centri urbani infatti si raccoglie il 74% della popolazione europea, ed è dai centri urbani che arrivano circa l’80% delle emissioni nocive per l’ambiente.

Per questo un gruppo internazionale di ricercatori provenienti da alcune delle più importanti università europee ha deciso di studiare come le città del continente si stiano attrezzando per rispondere all’emergenza del cambiamento climatico.

Un’analisi completa (quasi 900 città), che passa al setaccio non solo programmi di “Mitigation”, che prevedono la riduzione delle emissioni attraverso l’efficientamento energetico, l’ottimizzazione nella gestione di risorse e l’economia circolare; ma anche di “Adaptation”. Piani cioè di adattamento agli effetti del riscaldamento climatico (risposta alle inondazioni, alla siccità, o gestione di eventuali emergenze sanitarie). Sì perché anche nel migliore degli scenari, in cui gli obiettivi dell’accordo di Parigi verranno tutti raggiunti, siamo destinati, come spiegano i ricercatori nell’introduzione dello studio “a subire gli effetti del cambiamento climatico per i decenni a venire, a causa dell’anidride carbonica già emessa nell’atmosfera dalla rivoluzione industriale in poi”. I dati che vengono fuori dall’enorme ricerca sono tutto sommato rassicuranti, più luce che ombre insomma. Il 66% delle città europee ha un piano già operativo e i paesi che risultano meglio equipaggiati sono la Polonia (97% delle città ha un piano di Mitigation), Germania (81%), Irlanda (80%), Finlandia (78%) e Svezia.

“Sulla mitigation – rassicura Davide Geneletti, del laboratorio Planning for Ecosystem Services dell’Università di Trento e co-autore dell’articolo - la risposta è stata piuttosto positiva, anche se con evidenti differenze tra i vari Paesi”.   Non mancano però, alcune ombre. Circa un terzo delle città europee (288 in tutto) non ha approvato alcun piano. Tra queste, alcune anche molto importanti come Atene, Salisburgo e Palma de Maiorca. Alcuni paesi poi, come Bulgaria e Ungheria, risultano molto indietro visto che nessuna città ha predisposto piani di mitigation o adaptation. Sono pochi, infine, i paesi che hanno reso obbligatorio per le città di predisporre piani per il prossimo futuro, anche se su questo punto il professor Geneletti resta ottimista: “Tra un piano volontario redatto con impegno, convinzione e magari una forte componente di partecipazione pubblica – spiega - e un piano redatto unicamente per rispondere ai minimi requisiti di ottemperanza con obblighi normativi, sceglierei la prima situazione”.   E l’Italia? Il nostro paese mostra, anche ad una veloce occhiata sulla mappa dello studio, consistenti differenze tra il nord e il sud, e in generale desta qualche preoccupazione. 
“Per quanto riguarda l'Italia – conclude Geneletti – l'impressione è che ci sia ancora molto da fare per sviluppare, in seno alle amministrazioni comunali, la cultura dei piani di adattamento ai cambiamenti climatici, magari favorendo una loro integrazione all'interno degli strumenti urbanistici più tradizionali”.